Written by Biblioteca, Esperienze, Filosofia, Letteratura

Felicità. Dove sei?

Ci sono parole che pronunciamo con facilità, altre che diventano parte del nostro bagaglio linguistico, diventano parte di noi a forza di sentirle, e non perché le pronunciamo o rivestano un particolare significato.
C’è una parola che non viene pronunciata così spesso: felicità.

Fa la sua comparsa nel sospirare o nell’immaginare, senza troppa fiducia, un futuro che le va a braccetto; si pronuncia quando si parla di sogno, di desiderio.
Una vita felice non esiste, non si può essere felici tutti i giorni, la felicità è a momenti.

È davvero così?
Se sono felice, allora non ho difficoltà attorno a me; non posso essere felice perché altrimenti potrei urtare qualcuno; se sono felice sono egoista.
Funziona così il rapporto con la felicità?

Condivido l’incontro con una lettura, e nello specifico si tratta delle prime righe del terzo capitolo di Educazione di una fata di Didier Van Cauwelaert, dove si legge:
È vero che la felicità può diventare un’abitudine, un vantaggio acquisito, uno stato naturale.
Fantastico incontro! Possiamo essere felici? Per me sì, e lo si può essere consapevolmente e in armonia con tutto ciò che ruota attorno, anche se felice proprio non è.


Il filosofo Zygmunt Bauman ha intitolato un suo lavoro Meglio essere felici e nella prefazione lo si ringrazia per aver fatto:
comprendere che il primo muro da abbattere, se vogliamo costruire una società migliore, è il nostro muro interno. E, poi, che la via maestra per la felicità è la vita reale


Baumann non dà una rigida definizione della parola felicità, la argomenta con il semplice pensiero: meglio essere felici che infelici.
Troppo semplice per renderlo una sana abitudine?
Non possiamo chiudere la felicità in una definizione, sarebbe limitante. A mio avviso la felicità è uno stile di vita, un aprire gli occhi su quanto di più bello ogni giornata possa dedicarci.
Non lasciamo la felicità sul piedistallo, che abbiamo creato noi, all’apice del quale crediamo di non arrivare o se si arriva, allora c’è un prezzo da qualche altra parte da pagare.
La felicità possiamo essere noi, non quello che abbiamo, non quello che ci danno, non quello che ci guadagniamo.

Abbiamo sabotato la felicità, l’abbiamo isolata e lei è più vicina di quanto non pensiamo.
È camminare nell’aria fresca del mattino e ascoltare un mondo che si sveglia; oppure no, troppo semplice e banale.
È incontrare una persona e scambiarsi un sincero “buongiorno” , oppure no, non sarà mica felicità questa?
È trascorrere del tempo con persone vere, con le quali sorridi, piangi e rifletti, oppure no, che c’entra con l’essere felice?

La felicità è vicina a noi, è in noi; lei c’è, siamo noi a starle distanti.
E chiudo questa riflessione prendendo in prestito da Baumann l’esperienza di Johann Wolfang von Goethe:

Quando ormai era un uomo piuttosto anziano… un giornalista gli chiese: “Signor Goethe, lei ha avuto una vita felice?”
E Goethe rispose:”Sì, ho avuto una vita molto felice”, aggiungendo però immediatamente che non riusciva a ricordare una singola settimana felice… La felicità non consiste nell’assenza dei problemi, delle ansietà…

Essere felici, utopia o realtà. A noi la scelta.