Se cambia il narratore, la storia è la stessa?
Mi trovo spesso a condividere riflessioni sullo scrivere, sul narrare, dell’importanza della scelta delle parole. L’avvio della stesura di un testo apre al susseguirsi di importanti momenti, tutti finalizzati a dare sempre più forma alla propria storia. Un continuo scrivere, leggere, aggiungere, rileggere che fa accrescere la voce del testo.
Ora vorrei porre l’attenzione sul punto di vista da cui si scrive. Nel testo Pensieri Gitani il narratore è esterno, ma quale nuova storia sarebbe se a narrare fosse Lea?
Ogni storia ha il suo narratore, e se cambia… Cambia la storia
Lea di Francesca Girardi
“Basta. Lasciatemi stare. Non ne posso più”, i pensieri e i dubbi mi tormentano, ma io so dove trovare una tregua.
Prendo giacca e sciarpa, ed esco. I pensieri si muovono gitani, mi incantano con la loro palla di vetro, per poi lasciarmi in preda alle palpitazioni. Finalmente arrivo al mio rifugio dove lei è sempre pronta ad accogliermi, a dare ristoro alle mie gambe a cui i pensieri e le palpitazioni fanno vivere la stessa sensazione di essere risicchiate dai cavalloni di mare, che si avvicinano silenziosi per poi sfogare tutta la loro rabbia a riva.
Mi siedo sulla mia panchina. Questo oggetto inanimato, impersonale, mi accoglie e le mie spalle possono finalmente allentare le tensioni, far scorrere le preoccupazioni, senza l’ansia di lasciar cadere qualcosa di fragile. Anche le ginocchia possono godere di un istante di pace, prima che il cavallone ritorni schiumoso a trascinarle via. Finalmente posso concedermi un momento di pace, in attesa della carrozza gitana che tornerà a prendermi.
Allento l’angoscia, la paura. Mi chiedo cosa ne sarà della nostra unione, se riusciremo a ricostruire un confronto; non riesco ancora a credere come l’astio possa essere capace di avvelenare i legami più profondi. Mi lascio avvolgere dalla piacevole sensazione di essere sulla soglia d’ingresso sull’Universo a osservare le domande gitane che vorticano sospese nelle costellazioni dell’esistenza.
E la panchina attende silenziosa che io ritorni, sa confortarmi. Certo, per la maggior parte delle persone è un semplice oggetto, utile, ma un oggetto. Per me, invece, è meglio di tante parole che la gente mi sbrodola addosso. Tutti credono che io sia forte, audace, determinata, così passo inosservata e non si curano della mia sensibilità. Ma anche io ho un’anima, e la proteggo indossando una forza che è solo una corazza.
“Cosa ne sarà di tutto ciò che avevamo costruito? Delle promesse fatte, delle condivisioni”… Ecco le domande sono tornate, con le loro arti magiche mi ingannano, mi interrogano sul passato: quando aprire la porta di casa era una gioia, quando le vacanze erano il momento in cui si poteva finalmente stare tutti assieme; quando c’era felicità di accogliere chiunque passasse davanti al nostro cancello.
Anche il cavallone sta per tornare dalle mie ginocchia, per risucchiarle.
E’ ora di rientrare. Saluto la panchina e torno a convivere con l’impeto dei miei pensieri che seduti comodamente sulla carrozza gitana, mi aspettano e sono pronti a ingannarmi nuovamente con il futuro.