Finalmente l’aria. Ogni viaggio, ogni trasporto mi soffoca un po’. Negli spostamenti ho sempre la prima classe, velluto morbido come il muschio verde dell'albero da cui sono nato. La custodia è bellissima, sempre lucida e con una temperatura perfetta. Sono al sicuro qui, avvolto da un’atmosfera calda che mi protegge, e che protegge il mio suono. Da fuori giungono rumori disarmonici e spesso con tonalità assurde, li ascolto incuriosito.
Alcuni sono delicati, altri sono striduli, altri quasi intonati e simili a quelli che rincorro negli spartiti. Il mio amico tiene molto a me, a volte si dispiace perché non c’è armonia, non ci comprendiamo, bisticciamo. Strofina l’archetto sulle corde, ma non lo fa sempre nella maniera giusta; avviso il suo nervosismo quando le strofina forte e allora io non parlo, anzi, rispondo con un suono stridulo perché, anziché invitarmi a suonare, sembra concentrato a grattare via un pulviscolo solido, come quelli che si attaccano alle finestre. In quel momento esce il peggio di me: uno stridìo fastidioso. Non ci parliamo, ci allontaniamo per qualche minuto. Mi ripone nella custodia – devo dire sempre con delicatezza – e si dedica a studiare mentalmente la parte, muove le mani seguendo il ticchettio di quel cosino piccolo che sembra dire “no, no, no”, a velocità sempre diverse.
Io riposo, rilasso il mio legnoso scheletro e attendo fino a quando, dolcemente, il mio amico torna ad abbracciarmi, prende l’archetto, questa volta senza tensioni.
“È il nostro momento amico”, e in compagnia di una sana concentrazione, riprendiamo un dialogo di parole che diventa musica.
(Dialogo in musica. Voce narrante: violino)