Dietro alla scelta di stare a tu per tu con penna e foglio bianco o, per essere contemporanei, con tastiera e documento da nominare, ci possono essere diverse motivazioni. Non è possibile elencarle, la lista risulterebbe incompleta. Sì, incompleta. Ogni autore segue il proprio sentire, la propria idea, la propria intuizione e sa il "perché", o forse lo scoprirà. Si avverte una sorta di attrazione verso la quale si prova fiducia e si inizia a scrivere, un pezzo alla volta. E ci si trova immersi in una sorta di dietro le quinte dove in alcuni momenti sembra che si fermi tutto, che rimanga in stallo per poi, inaspettatamente, risentire quella forza che torna a farsi viva e procedere ancora di riga in riga, di pagina in pagina. Fino ad arrivare al punto finale. Quando la stesura è terminata, personalmente provo serenità. Perché scrivere, e questo è ciò che penso, è anche una scommessa. Saranno solo parole che rimarranno nascoste tra scaffali e cassetti di casa, oppure varcheranno la porta per mostrarsi al pubblico e incontreranno nuovi occhi e punti di vista? La scommessa non ha vinti e vincitori, ma ha pensieri ed emozioni che daranno vita a una narrazione rivolta ai lettori o pensieri ed emozioni che rimarranno solo per chi li ha scritti. E in entrambe le situazioni, c'è bellezza e c'è racconto. Rileggere ciò che si scrive è un momento che mi piace definire "catartico" : dopo aver lasciato che una parte di me prenda nuova forma nella narrazione, mi rispecchierò ancora in essa e la riconoscerò? Piacerà oppure incontrerà indifferrenza? Non importa. Nel romanzo di Betty Smith, Un albero cresce a Brooklyn, si legge: "quando accadrà qualcosa, raccontala esattamente come è successa; ma scrivi per te sola cosa ritieni che sarebbe dovuto accadere". Scrivere è una piacevole scommessa con se stessi. E così è stato per il mio racconto "Il grembiule mai indossato" nella raccolta "Racconti dal Trentino Alto Adige" edita da Historica Edizioni (a cui va il mio ringraziamento per aver scelto il mio scritto).