"Diventerò cantante, diventerò cantore. Entrerò al conservatorio... Diventerò violinista, entrerò al conservatorio... Diventerò un poeta, entrerò…” (M. Chagall. La mia vita. Milano, 1998, SE, p. 44.)
È possibile che un artista scriva di sé con lo stesso stile che rende uniche le sue opere? Sì, e lo dico dopo aver letto le pagine scritte da Marc Chagall. Per una serie di coincidenze ho iniziato a leggere la sua biografia; pensavo si trattasse di una classica descrizione di esperienze, studi, successi, invece tra leggerezza e fisicità ha preso forma il quadro della sua esistenza.
Una vita che scorre in un mondo fatto di nuove dimensioni, dove figure e forme fluttuano nell'universo parallelo e riconducono a importanti punti fermi dell'artista, primo tra tutti la famiglia. Parole che sono uguale espressione del tratto artistico; una scrittura che dipinge la concreta forza del legame tra il cuore, la mente e la tela di Chagall. La realtà è compagna di gioco dell'immaginazione, mentre vola sopra luoghi e persone dai colori riconoscibili. Il viola prende vita, non si nasconde, resiste all'incomprensione; tra le righe i ritratti apparentemente statici si animano in una danza vorticosa assieme ai tanti lacci dell'ispirazione. I dipinti si presentano nel loro essere raffigurazione e interpretazione di persone, attimi, sensazioni vissute, percepite, colte, condivise. E la vena artistica che ha affermato la grandezza di Chagall sorvola leggiadra gli interrogativi che hanno toccato l'anima.